La società della lotteria
Attualità e Testimonianza con d.Giampietro 10/11/21

 

Dal Corriere del Veneto del 6 novembre 2021

La società della lotteria

di Gigi Copiello

Più di mille euro per anno per testa. Spesi per giochi e lotterie. Succede a Camisano Vicentino, dove, dati ufficiali, si sono spesi nel 2019 13 milioni 376 mila euro a fronte di 11.109 abitanti. Spesa per difetto: non sono comprese le scommesse illegali. Spesa «popolare»: sono escluse le fortune giocate dai ricchi (di Camisano) nei Casinò del mondo.
Forse a Camisano si gioca più che altrove, ma poco più. Luca Ricolfi ne «La società signorile di massa» calcola che in Italia la spesa per giochi e lotterie è superiore a quella per la sanità pubblica. Ed ognuno di noi può vedere al tabacchino la fila di chi compra biglietti e al bar di chi è occupato sulle «macchinette».
Questo lo stato dell’arte. Di un problema. Di cui non si parla: non c’è «il foresto che ci invade». Ogni famiglia fa i conti con se stessa e allora «i panni si lavano in casa». Ma non basta e la comunità di Camisano fa bene a sollevare il coperchio e a prendersene carico, alla luce del sole. E ben sarebbe che tutti lo facessimo. Perché è un tema tanto imponente quanto complesso. Che richiama molte cose e questioni. Una, solo una, delle quali riguarda il lavoro. Nel senso: il gioco come alternativa al lavoro.
I progetti di vita sono affidati non al lavoro, ma alla fortuna. E’ chiaro che il gioco non funziona, che le perdite superano ampiamente le vincite. Anzi: la dipendenza dal gioco mette fuori gioco spesso anche nel lavoro.
Ma da cosa nasce quella speranza che si è fatto largo tra tanto «popolo»? Che lo ha «stravolto», se pensiamo all’etica del lavoro che ci ha cresciuto nei secoli?
Un’ipotesi: siamo un Paese che ha perso, retrocesso, l’importanza sociale del lavoro. La sua centralità. Infatti: si può vivere senza lavorare, come i pensionati, ormai maggioranza. Si può guadagnare senza lavorare legalmente. Si può campare, magari anche bene, con la rendita di lavori passati o anche trapassati quando le fortune arrivano agli eredi. Se si fanno un po’ di conti, e son stati fatti, l’italia non è più una Repubblica fondata sul lavoro. Anzi: le vie del signore per aiutare chi non lavora, chi ha perso un lavoro, chi non lo trova, sono infinite: dal reddito di cittadinanza alle varie casse. Infinite vie, ma tutte convergenti su di un punto: tutte «passive». Tutti soldi dati senza alcuna attività richiesta, senza alcun diritto/dovere alla formazione o all’occupazione. Categorie intere hanno vinto la lotteria di una cassa a vita o pensione baby e junior. S’aggiunga: quanti non vedono che lavoro e carriera son frutto del caso e della sorte, in barba ad ogni merito e competenza?
Eccetera, può bastare. Se l’italia non è fondata sul lavoro, il gioco e le lotterie diventano allora un’attività molto popolare. Ce ne dovremmo occupare innanzitutto noi che ancor portiamo la «bandiera del lavoro». Anche nel terzo millennio. Ma, come dice il proverbio, «dagli amici mi guardi Iddio». Amici che dovrebbero riflettere come a Camisano, e non solo, i soldi son l’ultimo problema. Ridurre il lavoro a reddito, vuol dire perdere e far perdere di vista il senso del lavoro, l’identità offerta dal lavoro: saper fare qualcosa e bene, ad esempio. Ogni politica del lavoro che non forma, riconosce e premia le mille competenze importanti in ogni lavoro importante (ed anche un ottimo cameriere è importante); ogni politica che «mantiene ferma» una persona per mesi ed anni senza lavoro né formazione: queste politiche non sono passive, ma producono guasti e mostri.

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