Il cinismo di un conflitto nel silenzio dei valori
Attualità e Testimonianza con d.Giampietro 03/06/22


Dal Corriere della Sera del 1 giugno 2022

Il cinismo di un conflitto nel silenzio dei valori 

di Giuseppe De Rita


La nostra cultura collettiva ha sempre avuto in memoria il peso della dimensione religiosa nelle grandi vicende belliche. Alcuni hanno anche studiato al liceo le famose e drammatiche guerre di religione che hanno portato all’attuale articolazione statuale dell’Europa; e tutti gli altri hanno letto e leggono sui giornali quanto la dimensione religiosa (islamica, cristiana, ebrea) stia sotto gli scontri quasi quotidiani in alcuni grandi o piccoli teatri di guerra.
Del resto la nostra storia più recente è stata segnata, nel secolo scorso, da sfide epocali a forte retroterra religioso: nella lotta contro il nazismo operò non solo un potere politico ed industriale; ma anche una radice religiosa molto profonda, se si parte dall’enciclica di condanne a Pio XI negli anni ’50; se si pensa al compattamento delle diverse chiese protestanti nel contrastare l’arroganza tedesca; se si pensa alla «resistenza e non resa» di tanti cattolici e protestanti tedeschi; se si pensa alla stessa realtà italiana, dove il richiamo cattolico fu sottotraccia (verso il nazifascismo) nella contrapposizione al continuismo sovietico.
In questo consolidato riferimento alla componente religiosa delle guerre, colpisce la straordinaria laicità, quasi la asetticità religiosa, della guerra in corso in Ucraina, peraltro un luogo posto nel triangolo fra Russia zarista, Impero austroungarico e la grande Prussia che aveva visto spesso nei secoli scontri nazionalistici conditi da violenza religiosa.
È quasi sorprendente come nel «caso Ucraina» i grandi poteri religiosi non si siano tentati dal fare crociate, tenendosi lontani dall’ambiguità della situazione: il patriarcato di Mosca si è passivamente allineato al governo russo ed alle sue ragioni politiche, il Papa cattolico si è mosso con grande prudenza, condannando sì l’aggressione russa ma salvaguardando nel riserbo quella dose di terzietà necessaria per operare per la pace; le chiese protestanti lavorano sottotraccia per Kiev ma non fanno proclami di idee e convinzioni; il mondo ebraico, (che pur aveva pagato il prezzo più alto nelle vicende belliche fra il 1940 e il 1945) resta silente e quasi interdetto tanto che il leader del governo israeliano è andato subito a Kiev dopo l’aggressione per poi subito rientrare in patria e rifugiarsi nel silenzio; lo stesso Erdogan, nella sua conclamata appartenenza religiosa preferisce mediare gestendo laicamente la sua posizione geografica.
Siamo in fondo di fronte ad una guerra prettamente laica, dove le dinamiche dei protagonisti sono dettate da valutazioni (fredde ed empiriche, come le sanzioni, le direttrici militari, le richieste di armamenti, lo sminamento dei porti, ecc.). 
Mentre i leaders valoriali, specialmente quelli religiosi, preferiscono il silenzio: nessun pastore occidentale rilegge Bonhoeffer; nessun rabbino rilegge o cita il Deuteronomio o Talmud; nessun vescovo cattolico riesce ad andare oltre una tradizionale patetica evocazione della pace. Cosicché i principi hanno la determinazione ad essere se stessi, senza bisogno di cappellani; mentre gli uomini e le donne, vagano nei teatri di guerra, pensando ai loro monconi di casa, senza tempo e senza fiducia per la preghiera e la esperienza religiosa.
Stiamo quindi in un passaggio d’epoca, dove valori, sentimenti e leaders religiosi sono per la prima volta nella storia un po’ fuori giuoco, incapaci di garantire qualcosa che ai drammi che avvengono dia senso profondo anche se non pienamente spirituale e religioso.
Da fedeli adulti di ogni religione dovremmo essere contenti di non vedere più in opera la connessione fra religione e guerra; ma non esageriamo con la fredda laicità della guerra, riprendiamo a ragionare su quel che sta sotto il rapporto fra la guerra e suoi riferimenti sociali, culturali, religiosi. Altrimenti rischiamo di dover alla fine affidarci solo al flebile «Dio ci aiuti».

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