NOTTE BEATA: il Messaggio del Vescovo Beniamino per la Pasqua 2021 VIDEO e TESTO. ABITARE l'aurora con GENTILEZZA



Notte veramente beata


 

Tra i tanti momenti suggestivi della liturgia della veglia pasquale, quello che probabilmente mi tocca di più nell’animo è l’ingresso nel buio della chiesa con il cero pasquale acceso, durante il quale si acclama al Signore risorto cantando «Cristo luce del mondo». L’emozione è palpabile, perché il disagio di muovere i passi nell’oscurità si mescola con l’incanto di vedere come l’edifico pian piano si illumina grazie alle candeline che vengono progressivamente accese.


Questo intreccio di buio e di luce, presente in diversi modi nelle nostre esistenze e così ben attestato nella Bibbia, mi offre lo spunto sia per condividere con voi alcune considerazioni personali, sia per porgervi il mio augurio pasquale.


La notte


L’oscurità è una delle dimensioni più immediate che accompagnano la notte. Da contesto fisico che impedisce il camminare spedito, diventa con facilità una cifra simbolica di quanto accade nell’animo e nella storia degli uomini. Questa prospettiva, tra l’altro è universale: attraversa in qualche modo tutte le culture e tutte le religioni. Per l’evento cristiano, poi, essa assume una pregnanza di sicuro rilievo. I racconti della passione, per larga parte, presentano come contesto cronologico proprio quello della notte. Nella celebrazione eucaristica, riprendendo le parole di Paolo, diciamo: «nella notte in cui veniva tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie…» (1Cor 11,23-24).


La notte è ricordata e ribadita anche nel Quarto vangelo, quando si menziona l’uscita di Giuda dalla stanza della lavanda dei piedi: «Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte» (Gv 13,30). L’oscurità esterna dell’ora tarda indica l’oscurità fitta che si è impadronita del cuore di questo discepolo.


Quando utilizziamo l’espressione «tempi bui», noi condensiamo in questa immagine tutte le ansie, le difficoltà, le paure e le sconfitte che talora la vita ci riserva. Potrei dilungarmi su tante possibili esemplificazioni legate a quest’ultimo periodo afflitto dalla pandemia: la perdita delle persone care, il panico per la solitudine e l’isolamento, la paura per il futuro incerto, il drastico calo dei posti di lavoro, l’aumento delle patologie psichiche, ecc. Momenti durissimi, che ci fanno attraversare, come singoli e come comunità, una tenebra molto fitta. La fede cristiana ci dice che anche Gesù è entrato in questo abisso ed è sprofondato nel baratro della morte: ha sperimentato smarrimento, solitudine, paura e tristezza. «La mia anima è triste fino alla morte» (Mt 26,38), ha confidato ai suoi discepoli nel Getsemani. E, dopo la morte di croce, è stato posto nel buio di una tomba: la tenebra lo ha avvolto. Quante lacrime saranno state versate, in quei frangenti, e quante ne vengono versate in questi giorni…


Eppure questo, che sembrava l’esito definitivo, non ha avuto l’ultima parola. «Nemmeno le tenebre per Te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno – recita il Salmo – per Te le tenebre sono come luce» (Sal 139,12). Attraversando l’oscurità cupa e dolorosa della morte, Gesù vi ha portato la luce.


Tornando al linguaggio dei segni della liturgia, accompagnando il cero pasquale che fa il suo ingresso nella chiesa buia, in realtà anche noi, seguendo Gesù risorto, abbiamo la possibilità di attraversare gli attuali tempi bui senza cadere nella disperazione della solitudine, ma percependo, invece, una Presenza amica. Per questa ragione ciascuno di noi può fare proprie le parole del salmista: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Sal 24,4). L’esito di questa notte non è l’abbandono, ma una presenza amica, che si palesa come un dono improvviso quando ormai ci si sentiva perduti. Come un lampo di luce nella notte più buia. Probabilmente è questo uno dei doni che il Signore ha in serbo per noi in questo periodo travagliato.


L’aurora


La ricca simbologia dell’intreccio tra il buio e la luce si può riscontrare con assoluta evidenza pure nei racconti pasquali, che concordemente collocano il rinvenimento del sepolcro vuoto precisamente «all’alba del primo giorno della settimana» (Mt 28,1), «di buon mattino» (Mc 16,2; cf. Lc 24,1). Come ben sappiamo, nessun evangelista si spinge nel tentativo di descrivere l’evento della risurrezione, che rimane del tutto ineffabile. I racconti si fermano sugli effetti: un sepolcro vuoto e una persona uccisa che successivamente viene incontrata viva.


Ebbene, la narrazione è assai sottile, perché il capovolgimento della condizione di tenebra non viene descritto con lo sfavillio pieno della luce di mezzogiorno, ma con i tenui, appena percettibili chiarori dell’alba. Ci troviamo nell’istante in cui non è più notte fonda, ma in cui non è ancora giorno. Un originalissimo chiaroscuro, dunque, esplicitato dal Quarto vangelo nel seguente modo: «di mattino, quando era ancora buio» (Gv 20,1).


Certamente «Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1Gv 1,5), ma il suo far risorgere Gesù dai morti è collocato sul far del giorno, nel momento aurorale dell’alba. Non per niente in Apocalisse il Risorto si presenta con una qualifica singolare: «Io sono la stella radiosa del mattino» (Ap 22,16).


Questo chiarore assai tenue della risurrezione di Gesù ci permette di formulare alcune considerazioni.


Quando attraversiamo momenti di buio, il desiderio impellente è quello di uscirne al più presto, per ritornare alla luce del giorno. Nei frangenti della fatica e del dubbio, vorremmo in breve tempo avere tutto chiaro.  


Mi sembra che in questi tempi noi cristiani siamo invitati ad abitare precisamente questo “tempo di mezzo” dell’alba pasquale con pazienza e con speranza. La soluzione a tutti i nostri quesiti e a tutti i nostri desideri di ripresa ancora non si dà in forma esplicita, ma ne intuiamo il germogliare.


Per questo l’autentico clima pasquale dovrebbe essere abitato dalla delicatezza estrema, dall’assenza di pretese onnicomprensive e dall’arte della reciproca gentilezza. Circa quest’ultimo atteggiamento, papa Francesco ci ricorda: «È ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità» (Lettera enciclica Fratelli tutti, n. 222). È possibile assumere, dunque, uno stile “aurorale” nei nostri rapporti, nei progetti e nelle nostre attività? Credo di sì… Accettando serenamente che non tutto è a immediata disposizione, non tutto è chiaro, non tutto è risolvibile. Dovremmo evitare le prese di posizione inappellabili, le dichiarazioni ultimative e i giudizi tranchant, aprendoci ad un atteggiamento umile, discreto, capace di formulare parole solo incipienti e progetti elaborati ancora in forma embrionale.


Se decidiamo di abitare l’aurora, con i suoi chiaroscuri, allora, sì, «anche la notte del dolore si aprirà alla luce pasquale di Gesù crocifisso e risorto» (cf. Prefazio comune VIII) e pure il frangente più oscuro e triste diverrà una «notte veramente beata» (O vere beata nox, Preconio pasquale). La risurrezione di Gesù è la più grande risorsa cui ogni credente può attingere, perché dischiude nel difficile momento attuale la dimensione lieta del compimento finale: «La vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20).


Con questa fede condivisa e con queste parole desidero porgere a ciascuno di voi e a tutti voi il mio fraterno e paterno augurio di Santa Pasqua.


 


                                                                              + Beniamino