Attualità e Testimonianza con d.Giampietro 19/04/21

Dal Corriere della Sera del 15 aprile 2021

Covid, guardare negli occhi chi muore

La proposta 

di Gabriele Bronzetti


Vestiti per bene, ci diceva la nonna. Quanti di noi non hanno potuto rivederla viva dopo che è entrata in terapia intensiva quella nonna, o un’altra madre, un padre, per non dire di un figlio? Da più di un anno è cambiato il modo di morire. La morte improvvisa, che ha la clemenza dell’anestetica velocità, è sempre esistita. La morte dopo lenta malattia anche, con il suo teatro, quel palco obbligato che parenti, sanitari e pazienti stessi mettono provvidenzialmente in piedi. Ma la morte di Covid ha inventato un tempo nuovo. È la pre-morte. Sono queste ore, giorni o settimane in cui si viene staccati da tutti in un’angosciosa metamorfosi. Nella Metamorfosi di Kafka Gregorio Samsa diventa uno scarafaggio che un muro separa dai parenti. Quando smetterà di respirare verrà spazzato via dalla fantesca. 

La condizione del paziente infetto in terapia intensiva

Il paziente infetto in terapia intensiva non è più padrone di sé di un insetto. Porta un casco o un tubo che spara ossigeno. Il rombo è assurdo e attorno a lui si dannano altre persone col casco e con la tuta. Inizia un viaggio senza fine. Sessanta anni fa Yuri Gagarin partiva per lo spazio con un casco e una tuta. Prima di partire aveva fatto la pipì sulla ruota posteriore dell’autobus che lo portava alla rampa di lancio; da allora questo è il gesto propiziatorio degli astronauti. Chi entra ora in ospedale non ha il tempo di farla sulla ruota dell’ambulanza. Se gli chiedete dove sta andando non lo sa. Il grido di dolore di chi perde il proprio caro senza un saluto è diventato intollerabile.

La morte

La morte è temuta, annunciata, murata. Non ci sarà nemmeno un corpo su cui piangere come si vorrebbe. Si deve fare qualcosa. Il Covid non è più un’emergenza. Dobbiamo fare i conti con un nuovo modo di vivere e di morire. Vanno bene le stanze degli abbracci aperte anche al S.Orsola ma non basta. Lì si toccano pazienti che stanno guarendo. Bisogna guardare negli occhi un caro proprio perché forse sta morendo, e stringergli la mano. Nella prima ondata mancavano i presidi protettivi per i sanitari e sarebbe stato impossibile vestire in sicurezza i parenti in visita ai malati. Ora che abbiamo inventato i bonus per tutto, dal monopattino all’orologio a cucù, si deve trovare il modo per accompagnare con dignità il passaggio.

I cellulari

I cellulari con i filmini dei nipoti e le videochiamate fanno poco e comunque impegnano il personale sanitario; che non ne può più di questa orrida chiusura. Se si potesse scegliere dove fare il secondino, non lo si farebbe nel braccio della morte. Di fronte a questo morire muto ci aspetta una mutazione, la variante della pandemia dobbiamo essere noi. E se poi non si dovesse per forza morire? E se vedere un viso caro anche dentro uno scafandro spingesse gli anticorpi e sciogliesse un trombo e rischiarasse un polmone e rifiorisse un rene? Ricordo qualche lustro fa quando le terapie intensive si aprirono ai parenti: che tenere, che bella la goffaggine di persone di ogni età e mestiere con la cuffia, a barcollare su un piede per mettersi i calzari e ondeggiare tra i letti come sonnambuli. Bisogna ripensare gli spazi, gli orari, come non intralciare i sanitari.

L’illusione

La vestizione sarà laboriosa, un procedimento maniacale con una lunga check list: prima questo poi quello, adesso non toccare qui, togliti prima quello. Una nuova pedagogia, una nuova moda per volare nello spazio. Non è detto che faccia vivere di più, ma almeno non farà morire di più. Forse sarà solo un lampo, il bagliore di una notte scura, un’illusione ma che importa, tutto è un’illusione. Ci guarderemo dai nostri vetri appannati e ci riconosceremo. Davanti a noi giace l’uomo nudo che abbiamo rivestito vestendoci per bene come diceva la nonna. Si sentirà come il nonnino di Amarcord perso nella nebbia che rientra in casa per chiudere gli occhi. A casa sua.

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