Attualità e Testimonianza con d.Giampietro 21/06/21

 

Da Famiglia Cristiana del 20 giugno 2021

Quel "cerchio della vita", un inno allo sport e alla fratellanza

di Marino Bartoletti

Il calcio dell'avidità e dell'aridità, il calcio dei cattivi maestri e dei pessimi allievi a volte riesce a recuperare con guizzi inattesi il senso della sua dignità e persino quello dei buoni sentimenti: onorando non solo la sua missione sportiva, ma persino quella etica legata agli esempi migliori. 
Tutta l'Europa, ma forse persino una parte del mondo, sabato scorso ha trattenuto il fiato davanti alla tragedia scampata di Christian Eriksen, rispettato e talentuoso centrocampista dell'Inter e della Nazionale danese che a due minuti dalla fine del primo tempo è crollato a terra senza motivo, riaccendendo in tanti di noi angosce e brividi purtroppo già vissuti su altri campi da gioco. 
Personalmente tanti anni fa, avevo visto accasciarsi (e purtroppo morire) nell'impotenza generale Renato Curi in quello stadio di Perugia che poi avrebbe portato il suo nome: ma anche Lionello Manfredonia al "Dall'Ara" di Bologna, che ebbe la fortuna di vivere quel dramma in una delle poche strutture sportive dove allora fosse presente l'antesignano di un defibrillatore. Quel defibrillatore che non assistette Piermario Morosini quando morì a Pescara: e in quel caso davvero si sarebbe potuto fare di più. Ma non è la dolorosa "contabilità" che ci interessa in questo caso, per fortuna risoltosi felicemente, quanto la sensazione di amore che, insieme all'efficienza dei soccorsi, si è alzata da quel terreno di gioco e da quegli spalti potenzialmente occupati da tifosi "nemici". E allora ecco, assieme alla paura e certamente alla possibile disperazione dei compagni di Eriksen, il loro senso di protezione, sfociato in un autentico cerchio della vita che ha salvaguardato Christian dalla morbosità di chi ormai è più abituato a cibarsi di emozioni "forti" e spesso sconce che non di quelle legate al senso e ai gesti dello sport. Quell'improvvisato velo di pietà non solo è stato decisivo verso l'efficienza di chi stava operando per salvare quel ragazzo, ma soprattutto ha conferito decoro e quasi devozione a un momento che pretendeva solamente rispetto. 
Solo quando si è avuta la sensazione che il miracolo -se è stato un miracolo - fosse avvenuto, le due tifoserie hanno intonato a turno l'una il nome e l'altra il cognome di Chris, in un improvvisato inno alla fratellanza che ci ha riconciliato con tante brutture vissute. 
Il resto lo ha fatto e lo farà la scienza. Mentre tutto stava avvenendo, Fabrice Muamba, che nove anni prima aveva vissuto gli stessi terribili momenti tornando alla vita al quindicesimo colpo di defibrillatore, ha twittato "Per favore, Dio"! La stessa cosa che abbiamo pensato in molti. E mai come questa volta si è avuta la sensazione che non sia davvero inutile pregare. 
D'altra parte in tanti (anche in Italia, stando vicino ai nostri giovani e spensierati azzurri) non abbiamo forse pensato che questi Europei possano essere un piccolo passo verso il ritorno alla vita?

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