Attualità e Testimonianza con d.Giampietro 09/07/21

 

Dal Corriere del Veneto del 03 luglio 2021

L'immagine oltre le parole

di Gabriella Imperatori


     
È la televisione, più che i giornali, la prova regina del fatto che ci stiamo assuefacendo, tramite le immagini, al dolore, all’orrore, alla morte: perfino di bambini innocenti, o di adolescenti bruciati dalla cattiveria idiota di certi social che arrivano a indurne perfino il suicidio. I giornali danno le notizie, com’è giusto, anche le più atroci, accompagnate però da approfondimenti che, soprattutto al giorno d’oggi, rendono questi media (purtroppo frequentati da pochi) i più utili a capire quanto di bene e di male avviene nel nostro irritabile pianeta. Ma la potenza dell’immagine è infinitamente maggiore. Pensate a quella, per fortuna passata integra in tv una sola volta, della funivia del Mottarone, mentre scivolava all’indietro portando vertiginosamente alla morte 14 turisti. Giovani, anziani, bambini, una piccola Spoon River di persone dalla vita interrotta mentre ancora la volevano vivere. O, in un passato ormai quasi remoto, alla tragedia di Vermicino, che per tre giorni ha tenuto gli italiani inchiodati alle tragiche immagini del teleschermo. Oppure immaginate quel che ci sarebbe stato propinato se il piccolissimo Nicola Tanturli fosse finito in un crepaccio, rapito da un malvivente o sbranato da un lupo, invece che fortunosamente salvato e restituito alla famiglia. Quando avviene qualcosa di tragico a cui non siamo ancora assuefatti, quando insomma la gelosia, la sete di potere, la frustrazione lasciano il posto a motivazioni ancor più insensate, è inevitabile restarne altamente turbati.

È il caso, per restar qui nella nostra regione, dell’omicidio sul greto del Piave di una giovane donna che prendeva il sole ed è stata accoltellata a morte da uno squilibrato che sentiva «il bisogno irrefrenabile di far del male a qualcuno», non importa chi. Anche altrove un altro disturbato, stavolta un sedicenne, ha accoltellato la fidanzatina perché «spinto da voci luciferine ».

In questo e altri casi, come la scomparsa della diciottenne pakistana Saman, le immagini dei luoghi e dei volti penetrano nella nostra memoria, e nel nostro inconscio, più che le parole, anche se queste ci fanno ragionare meglio che le emozioni fuggevoli.

Vale anche per le buone azioni, certo, come l’eroismo del sessantenne che s’è gettato nel mare in burrasca portando in salvo tre ragazzine (non solo sua figlia!).

Ma appena tornato a riva, è stato il suo cuore ad arrendersi. Ancor più vale per l’immagine dell’immigrato costretto a lavorare anche nelle ore di caldo assassino per una manciata di spiccioli.

E per i video delle torture inflitte dalla polizia penitenziaria ai carcerati ribelli (per scarsità di cure anticovid), costretti alle umiliazioni più feroci. Senza quei video, non sapremmo cosa succede in alcune nostre prigioni. Purtroppo le emozioni sono effimere. Ci indigniamo (non tutti, per la verità…) e magari cogliamo l’occasione per puntare il dito contro qualcuno o per sputar sentenze.

Ma ormai troppo spesso la tragedia, come si diceva, viene serializzata, favorendo così quella che è stata chiamata «pornografia del dolore». Fatto sta che ci stiamo indurendo, o almeno anestetizzando di fronte alla banalità del male. Mentre il bene che ci illumina per un momento diventa spesso un ricordo piccolo piccolo.

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