Il cuore grande dei veneti
Attualità e Testimonianza con d.Giampietro 24/11/21

  

Dal Corriere del Veneto del 19 novembre 2021

Il cuore grande dei veneti

di Giandomenico Cortese

Per capire davvero un luogo bisognerebbe esserci nati. O viverci con partecipazione attiva. A leggere alcuni numeri, cifre di convinta condivisione, anche nelle cronache apparse su queste pagine nei giorni scorsi per celebrare i settant’anni di presenza del CUAMM - il Collegio che segue da settant’anni a Padova la formazione degli aspiranti medici missionari e poi li accompagna nelle loro terre d’origine, in Africa, in quella SubSahariana in particolare offrendo aiuto a milioni di persone, soprattutto ma non solo a mamme e bambini - o solo per fare memoria della accoglienza alle popolazioni vittime della alluvione del Polesime del novembre 1951, si ha chiara l’immagine del «cuore grande» dei Veneti. Ancora una volta.Lo si è percepito pure in occasione della Giornata internazionale del Volontariato, celebrata in tutti i capoluoghi della Regione, o allorché le diverse «Città del dono» hanno riunito le associazioni Aido, Admo, Avis, Fidas, Gruppi Alpini vocati alla donazione del sangue, degli organi, del midollo osseo, riconoscendole generative di gesti preziosi nella direzione di costruire una civiltà dell’amore, solidale, in cui i Veneti hanno dimostrato di non essere secondi a nessuno (una narrazione che spesso manca). Quasi la propensione al dono – si pensi a quanto si fa per la «Città della Speranza» – sia imprinting locale, faccia parte dei nostri Dna.
Il dialogo sociale tra istituzioni, associazioni varie, e l’umanità di questo nostro territorio è un dato ufficiale, una consuetudine trasferire con consapevolezza del trasformare l’«io in noi».
La cultura del dono è una pratica dell’alfabeto dell’amore, proprio perché promuovere cultura significa costruire una visione, abituare a lasciare qualcosa di più di quanto abbiamo trovato. Dono e discernimento, dunque. Il dono è la testimonianza di libertà e umanità, e ci fa consapevoli che l’avanzare in salita, come impone la nostra quotidianità, spesso in solitudine, col sacrificio del salire, ha bisogno di incontrare gesti, di percepire attorno della presenza di persone generose che ci accompagnano, magari silenziosamente, facendoci intendere quel «ci siamo pure noi!» che offre speranza. Soprattutto, come insegnano le «città del dono», se l’impegno profuso si nutre di delicatezza, compassione, sensibilità, dolcezza, comprensione, in una parola, accoglienza.
Qualche anno fa Stefano Lorenzetto, per Marsilio editore, ha dato alle stampe una trentina di ritratti di personaggi non tutti celebri di questa terra, che per 1.100 anni fu «nazione». Lorenzetto spiega: «Per capire davvero un luogo bisognerebbe esserci nati», e nel suo definirci ha ben colto il carattere: «I veneti che mugugnano ma sgobbano, che protestano contro la rapacità dello Stato ma pagano le tasse, che sognano l’indipendenza ma non si appellano mai a vallate in armi, che si mostrano sospettosi con gli stranieri ma ne accolgono più di qualsiasi altra regione d’Italia dopo la Lombardia, che non sono ancora pronti a fondere il bianco col nero ma continuano a mandare missionari a morire in Africa, che tirano su capannoni ma si struggono di nostalgia per le ville palladiane, hanno ancora questa enorme fortuna di ricordare da quali sacrifici è scaturita la loro ricchezza di vivere come se tutto fosse in prestito, come se l’incantesimo potesse rompersi da un momento all’altro».
Già, «Cuor di Veneto».

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